di Rocco Castracane e Giuseppe Cocchia
Non vi è dubbio che gli imperatori romani più famosi al grande pubblico arrivino al massimo alla figura di Settimio Severo, ma la figura di Giulio Valerio Maggioriano (n 420 circa – m 461) merita una particolare attenzione.
Come dice il titolo di questo articolo, Maggiorano rappresenta l’ultimo tentativo di riportare l’impero romano d’occidente, se non ai fasti delle epoche gloriose dei Giulio Claudi o dei Flavi, quantomeno ad una situazione di stabilità e riunificazione territoriale, compromessa nei decenni precedenti da invasioni barbariche e divisioni profonde. Era nato da una famiglia aristocratica di classe senatoria intorno al 420 d.C.; il nonno omonimo era stato Magister Militum e comandante delle truppe dell’Illirico sotto Teodosio I (regnante in oriente dal 379 al 395 d.C.), mentre il padre aveva seguito il famoso generale Flavio Ezio con un incarico che oggi definiremmo capo delle attività logistiche. Allevato in una famiglia cristiana, ma in un ambiente aperto alla filosofia e agli scrittori classici greci e romani, si dice che fosse presente in età infantile ad Alessandria, dove il padre ricopriva un importante incarico amministrativo, e che avesse subito l’influenza culturale di quella città, elemento che si rivelerà fondamentale per lo sviluppo successivo della sua futura azione politica. L’Impero romano in occidente versava in condizioni precarie, Roma stessa aveva subito il sacco da parte dei Visigoti di Alarico, per ben due volte nel 408 e nel 420 d.C., e la corte imperiale era di fatto governata da funzionari corrotti. I tentativi di risolvere il problema delle invasioni di popolazioni barbariche, sia militarmente che attraverso il versamento di ingenti quantità di denaro, non solo non avevano risolto il problema, ma avevano ulteriormente impoverito le casse dello stato. Maggioriano intraprese da subito la carriera militare in uno dei periodi più turbolenti della storia dell’Impero Romano d’occidente. Servì sotto Flavio Ezio, al fianco del quale combatté valorosamente nella cavalleria contro i Franchi e nella battaglia dei Campi Catalauni del 451 d.C.; qui l’esercito imperiale, costituito da un coacervo di popolazioni barbariche e da una minoranza di italico/romani, sconfisse in battaglia gli Unni di Attila. Nel 452 l’invasione dell’Italia da parte degli Unni di Attila fu fermata da una delegazione composta da Papa Leone Magno, ma soprattutto dalla minaccia congiunta costituita dal generale Ezio e dalle sue forze schierate alle spalle dell’invasore, e dall’intervento delle truppe dell’impero d’oriente. Nel 454 l’assassinio da parte dell’imperatore Valentiniano III di Flavio Ezio, che aspirava ad entrare nell’alveo della famiglia reale per il tramite di uno dei figli da dare in marito ad Eudossia, figlia dell’imperatore. Nel 455 lo stesso imperatore ed il suo primo ministro Eraclio, fu assassinato a seguito di una congiura probabilmente ordita dagli ufficiali fedeli ad Ezio. Dal 455 al 457 si succederanno altri due imperatori dalla vita breve.
Il primo, Petronio Massimo ricco nobile romano, diventerà famoso per il fatto di essere in carica durante il sacco di Roma operato da Genserico, nel corso del quale fu ucciso durante i tumulti scatenatesi fra la popolazione.
Il secondo fu Flavio Avito di nobiltà Gallo-Romana, impegnato anch’egli nella battaglia del 451 precedentemente citata. Anche il suo regno ebbe vita breve, in quanto malvisto dalla nobiltà romana, che gli rimproverava l’eccessiva vicinanza con le popolazioni galliche.
La fine di Avito si deve essenzialmente alle trame di Ricimero, generale di origini sveve che era stato inizialmente al seguito di Ezio e successivamente aveva ricoperto il ruolo di comandante della guardia imperiale a Ravenna, e poi delle truppe in Italia. Alleatosi con Maggioriano, le loro truppe si scontrarono a Piacenza con quelle fedeli ad Avito, che venne sconfitto. Avito fu costretto a prendere i voti e venne eletto vescovo di Piacenza, escamotage che comunque non gli risparmiò la vita, in quanto fu poco dopo ucciso da sicari inviati da Ricimero. Era il 456 d.C. Nel vuoto di potere creatosi, il senato di Roma, ma il vero burattinaio era di nuovo Ricimero, che meriterebbe un articolo a parte, elesse alla porpora Giulio Valerio Maggioriano non ancora quarantenne. L’attività politica di Maggioriano si sviluppò su più fronti. Dal punto di vista militare riconquistò all’impero d’occidente, la Gallia e la Spagna, ma quello che interessa di più in questa sede sono le riforme approvate durante il suo breve regno. Innanzitutto, le condizioni disastrate delle casse imperiali, come detto, erano dovute a più fattori: in primo luogo vi era il problema della tassazione squilibrata a favore della nobiltà. La riscossione delle tasse era basata sulla legge romana che obbligava gli agenti di riscossione (cittadini privati) ad anticipare il gettito nelle casse imperiali e successivamente a rivalersi sui privati cittadini con tutti i problemi conseguenti. Con uno dei primi provvedimenti, allo scopo di limitare i soprusi, Maggioriano decise di riportare il controllo degli esattori sotto funzionari pubblici imperiali, aumentando così il gettito e facendo in modo che i più ricchi, di fatto praticamente esentati, pagassero almeno il dovuto. Veniva concesso un condono assoluto di tutti i tributi dovuti prima del settembre dell’anno precedente al suo insediamento e venivano inoltre abolite le commissioni straordinarie sulla riscossione. Allo stesso tempo ordinò che venisse incrementata la coniazione di monete d’oro, argento e bronzo. Nell’ambito del diritto, la riforma più importante fu quella della reintroduzione del Difensore Civico che, come vero tribuno della plebe, aveva il compito di difendere i diritti e di ascoltare le lagnanze del popolo, nonché di emettere sentenze per questioni di minore importanza. Fu il primo motivo di scontro con il potere ecclesiastico, che di fatto si prendeva cura degli aspetti legali di minore entità. In particolare si occupava dei contenziosi insorti tra laici e membri appartenenti al clero, in cambio però di donazioni ed elemosine, che si sarebbero ridotte se la riforma avesse avuto successo. Nel corso di una sua permanenza a Roma, Maggioriano ebbe modo di rendersi conto della situazione disastrosa in cui versavano le costruzioni in generale e i templi pagani in particolare. Nel 376, durante il regno dell’imperatore romano Valentiniano I, fu emanata una legge (chiamata Lex de Rerum Raptu) che vietava l’uso di materiali di spoliazione ottenuti da edifici antichi. Questa aveva lo scopo di proteggere le antichità romane dai saccheggi e dalla distruzione, ma nel corso degli anni essa entrata progressivamente in disuso, grazie alla corruzione dei funzionari pubblici che ne dovevano assicurare l’applicazione. La spoliazione dei marmi romani aveva lo scopo di procurare materia prima a costo zero da usare nelle fornaci per ricavarne calce, ma soprattutto interi manufatti di marmo venivano riutilizzati come materiale da costruzione in edifici privati e chiese. Maggioriano nel 458 emise un editto con cui mirava a rafforzare il controllo pubblico sui monumenti antichi ed impedirne la progressiva distruzione; inoltre, ingiungeva a chi si era impossessato in modo illegale di un immobile pubblico di restituirlo immediatamente con quanto esso conteneva. Resosi conto del grande calo demografico che aveva colpito soprattutto l’Italia ed avendone individuato alcune delle cause, emise una serie di provvedimenti con il quale si proibiva alle donne di prendere i voti prima dei quarant’anni. Si stabiliva che le vedove aventi meno di tale età che non si fossero risposate entro cinque anni dovessero cedere al fisco metà dei loro beni e infine che le giovani costrette a prendere forzatamente i voti, escamotage utilizzato soprattutto per motivi di eredità, ne fossero sciolte. Con un altro provvedimento si inasprivano le pene per chi si rendeva responsabile di disordini durante le corse degli aurighi nel Circo Massimo (il parallelismo con gli scontri attuali tra tifoserie calcistiche qui è più che evidente). Questa serie di provvedimenti di fatto iniziò ad indebolire la posizione dell’imperatore che ricevette il colpo di grazia al suo prestigio nel 460 d.C. quando, alla fine di un lungo periodo di preparazione per l’invasione e la riconquista dell’Africa del nord allora sotto il dominio dei Vandali di Genserico, la flotta imperiale fu incendiata e distrutta nel porto di Cartagena. Questo episodio diede l’opportunità ai nemici di Maggioriano, guidati a questo punto apertamente da Ricimero, di imbastire un serie di accuse, dall’incapacità al vero e proprio tradimento, nei confronti dell’imperatore, il quale fu costretto ad abdicare. Arrestato da truppe fedeli a Ricimero con la scusa di scortarlo per proteggerlo, Giulio Valerio Maggioriano fu ucciso in un’imboscata nei pressi di Tortona. Era l’agosto del 461 d.C. Moriva così l’ultimo imperatore laico dell’Impero Romano d’occidente.
Letture in italiano:
- E.A. Arslan, Giulio Valerio Maggioriano. Il re senza corona.
- G. Giacchero, Maggioriano. Un imperatore controcorrente.
- F. Pighi, L’imperatore Maggioriano e il suo tempo.
- A. Schiavone, La storia spezzata. Roma 410-476 d.C.
- G. Castelli, Il romanzo dell’Impero Romano.
In altre lingue:
- P. Brown, The World of Late Antiquity: AD 150-750.
- G. Halsall, Barbarian Migrations and the Roman West, 376-568.
- S. Kingsley, The Fall of the Roman Empire: A New History of Rome and the Barbarians.
- J. Moorhead, The Roman Empire Divided, 400-700 AD.
- H. Wolfram, The Roman Empire and Its Germanic Peoples.