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di Rocco Enzo Castracane e Giuseppe Cocchia


“VITA DULCIS” è una mostra curata da Francesco Vezzoli, uno degli artisti italiani più affermati a livello internazionale, insieme a Stéphane Verger, direttore del Museo Nazionale Romano; l’esposizione esplora l’antica Roma attraverso un inedito e sorprendente dialogo tra arte contemporanea, archeologia e cinema.

Il percorso espositivo, articolato in sette sale tematiche, accosta la storia antica rappresentata dai reperti archeologici conservati nelle diverse sedi del Museo Nazionale Romano al racconto immaginario e ne fanno film di grande successo come “Cabiria”, “Satyricon”, “Sebastiane” e “Il Gladiatore”. Opere di Vezzoli costituiscono il terzo elemento di questo dialogo, incorporando elementi d’epoca antica o ispirati all’antico.

Il fulcro della mostra è lo spazio della rotonda, che presenta la ricerca artistica di Francesco Vezzoli, con una selezione di sei sculture luminose di grandi dimensioni provenienti dal progetto 24H Museum realizzato nel 2012 in collaborazione con la Fondazione Prada. Vezzoli trasforma figure femminili dell’epoca classica in dive contemporanee, facendo convivere richiami all’antichità e icone del presente. I volti delle star che Vezzoli ha coinvolto nei suoi progetti sono innestati sui corpi di sculture antiche, producendo un processo di immedesimazione tra epoche e vissuti personali differenti.

“Dux Femina Facti”, parla del ruolo femminile nell’antica Roma. Nonostante la società romana fosse fortemente patriarcale, le donne avevano un ruolo fondamentale nella dimensione quotidiana e rituale. La sala rappresenta varie personificazioni della donna raffigurate in epoca classica, come matrone, Veneri e Diana. Si evidenzia il gioco dell’innesto tra antico e contemporaneo con il riferimento a Kim Kardashian. Nell’opera “Non ho l’età” si associa una testa di donna anziana con una riproduzione del torso di Venere di Prassitele. Viene rappresentata anche la dimensione rituale dell’antica Roma attraverso un altare piramidale composto da 69 reperti votivi fittili che rappresentano degli uteri. Inoltre, non poteva mancare il riferimento alla regina egizia Cleopatra.

“Certa Omnibus”, affronta il culto delle divinità dell’oltretomba nell’antica Roma e la credenza che l’anima sopravvivesse alla morte del corpo. L’atmosfera solenne della sala è determinata dal lungo corridoio costellato da lapidi funerarie. Viene presentata la celebre sequenza del sacrificio umano nel tempio di Moloch dal film muto Cabiria, diretto da Giovanni Pastrone, che rievoca il tema della morte e del ritorno dei suoi spiriti.

Nella sala denominata “Ridentem Dicere Verum”, sono rappresentati l’erotismo e la carnalità, temi che hanno attraversato i secoli e che sono diventati simboli di una storia fluida. Il capolavoro di Federico Fellini, Fellini Satyricon (1969), prende spunto proprio dal Satyricon di Petronio, in cui questi temi sensuali sono presentati attraverso un filtro ironico. La storia di Ascilto ed Encolpio si svolge in una Roma in cui la degenerazione e la decadenza morale si espandono a macchia d’olio, alternando peripezie e violenze carnali. La scena della cena di Trimalcione, priva di un’unità narrativa che riprenda la frammentarietà del testo originale, mostra una pluralità di volti grotteschi e di eccentrici commensali, tutti coinvolti nel rituale per la celebrazione della finta morte del padrone di casa. Sullo sfondo di questo scenario, allestito come in un banchetto dionisiaco, una selezione di teste e busti di personaggi storici accerchia la scultura dell’ermafrodito dormiente proveniente da Palazzo Massimo. Traiano, Platone ed Euripide, ma anche opere di artisti contemporanei come Satyricon (Portrait of a Priest) (2023), la testa di un Giano bifronte dal titolo BI (2015), o la Musa della Satira (2023) di Vezzoli, sembrano a colloquio davanti al corpo disteso

La frase presente nei Sermones di Orazio, “Ridentem dicere verum: quid vetat?” (Dire la verità ridendo: cosa lo vieta?), provoca una riflessione sulla dimensione dell’arguzia dialettica con cui i personaggi del film proiettato in sala, a cui si aggiunge anche il Satyricon (1969) diretto da Gian Luigi Polidoro con protagonista Ugo Tognazzi, riescono a esprimere verità sottili.

Il tema del potere e della sua estensione è il filo conduttore della sala “Ubi Potentia Regnat”.  L’artista Vezzoli mette in scena il potere degli imperatori romani attraverso i loro ritratti esposti al centro di una sala a forma di ziggurat sfidando la dimensione storica e promuovendo la creazione di un sistema di valori senza tempo e senza limiti di spazio, attraverso l’integrazione di teste di imperatori romani nel busto di un corpo femminile. Il gesto artistico solleva una domanda aperta: come possiamo ancora connetterci e tradurre l’antico nel nostro presente? Sullo sfondo vengono proiettate scene di due film: nel primo, “Mio figlio Nerone” (1956),  in modo ironico, si racconta la storia di un imperatore codardo e dissoluto che teme solo l’intervento della madre, Agrippina; nel secondo,  “Nel segno di Roma” (1959), diretto da Guido Brignone e Michelangelo Antonioni, viene invece gettata luce sul retroscena umano degli uomini di potere dell’epoca romana. Entrambe le pellicole, seppur di genere differente, rappresentano un’occasione per riflettere sul potere e sulla sua natura intrinseca, oltre a far emergere la complessità delle relazioni umane in un contesto di dominio.

Per finire “Mixtura Dementiae” è l’ultima sala ed introduce all’estetica del frammento e della mutilazione dei reperti archeologici, presentando una selezione diversificata di soggetti, tra cui le opere di Francesco Vezzoli. Tra queste opere, Ai tuoi piedi (Pedicure) (2020), Love and Sex in Ancient Rome (2019), Lacrime di coccodrillo (2023), Caligula Killed Tiberius (Peter O’Too/e) (2005) e Cherea Killed Caligula (Paolo Bonacelli) (2005). La mostra si conclude con l’opera filmica Trailer for a Remake of Gore Vidal’s Caligula, che presenta un cast internazionale che interpreta personaggi storici in una parodia del cinema hollywoodiano e del suo interesse per Roma.

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