di Patrizia Vallone
I nostri Lettori più assidui sapranno che abbiamo già parlato in due occasioni della mostra del fotografo Vincent Peters a Palazzo Bonaparte, TIMELESS TIME, visitabile fino al 25 agosto (i link sono alla fine del testo). La mostra, che è stata inaugurata una prima volta nel gennaio 2023 a Milano, a Palazzo Reale, per poi spostarsi a Bologna, a Palazzo Albergati, infine è giunta da noi a maggio.
Questa volta racconteremo del tour guidato che l’Artista ha tenuto nei giorni scorsi e dell’intervista che ne è seguita, che pubblichiamo a parte.
Tedesco, classe 1969, Vincent Peters arriva sorridente ed elegante nel suo doppiopetto grigio, rigorosamente senza cravatta, pronto a intrattenere il gruppo di visitatori con aneddoti e curiosità, parlando in modo leggero e accattivante di fotografia e di molto altro. Si scusa se non parla bene italiano, promette di impararlo quanto prima, ma secondo noi invece lo parla e lo capisce molto meglio di quanto non voglia far credere.
La mostra presenta 90 immagini di donne e uomini, modelle e celebrities, ripresi in pose e ritratti che sono un omaggio sia alla nostra arte del passato che al cinema neorealista di De Sica e Visconti. Nelle pose e nell’abbigliamento dei soggetti ritratti riconosciamo le Madonne del Rinascimento, la Pietà di Michelangelo, i quadri misteriosi di Edward Hopper, i ritratti frammentati di Picasso e i film di Rossellini.
Gli scatti sono in analogico, in un solenne bianco e nero, illuminati da una luce viva e tangibile che enfatizza i lineamenti dei soggetti ritratti. Lo sguardo dei suoi modelli fa intravedere mondi che sembrano lontani, irraggiungibili e misteriosi, ma che invece gravitano tra segreti e dolori inconfessabili.
I corpi nudi, mai volgari o allusivi, esaltano la bellezza femminile, rimandando sia alle statue greche che alla grande pittura del passato. Le immagini sono dense, materiche, simili a sculture; i neri e i grigi appaiono netti, come se provenissero da pennellate ricche di colore, i bianchi distribuiscono luce e riflessi in punti improbabili, i soggetti saltano fuori dalla cornice come bassorilievi e interagiscono con l’osservatore.
Le pose sono apparentemente congelate nell’istante di uno scatto, 1/125 di secondo, in cui il tempo senza tempo si ferma per poi continuare a vivere nella storia immaginifica di chi guarda.
A noi che scriviamo la mostra ha svelato emozioni ed orizzonti nascosti e dimenticati del nostro passato, portando alla luce eventi sepolti nella memoria che credevamo dissolti e persi per sempre: la storia della nostra vita procede, arricchita dei ricordi che ci hanno aiutato a diventare quello che siamo oggi.
“Viviamo in un’epoca in cui sono tutti fotografi – esordisce Vincent Peters nella sua introduzione al tour – tutti hanno gli smartphones e tutti ritraggono di tutto. Solo a Roma in due ore vengono scattate più immagini che in tutta la storia della fotografia, questo per dare un’idea. Una volta si scriveva sui muri o sugli alberi ‘io sono stato qui’, per comunicare al mondo la propria esistenza, oggi si scattano fotografie.
Da quando esiste, tutti i capi di stato, i regnanti, i personaggi pubblici hanno dato una precisa immagine di sé attraverso la fotografia che, in questo caso, è stata in grado di influenzare le masse e usata nel bene e nel male anche come arma politica. Ne abbiamo esempi lampanti davanti a noi: tutti i giorni vediamo sui giornali sia immagini di guerre devastanti che celebrities trionfanti sui red carpets.
Questo è l’immenso potere della fotografia.
Io con le mie foto voglio raccontare storie, vorrei che ogni visitatore creasse un suo racconto personale di ogni immagine esposta, che entrasse nelle immagini e che vivesse la sua storia, e che tornasse a casa pensando di aver assistito più ad un film coinvolgente, che a una mostra fotografica.
Fotografo celebrities perché è più facile identificarsi con loro, con la vita di finzione che ci fanno vedere sullo schermo e sognare del lusso di favola in cui vivono. In realtà, ignoriamo la loro vita reale, le famiglie disfunzionali da cui spesso provengono, i matrimoni sfasciati e i problemi personali e familiari che li affliggono. Sono come un bel mazzo di fiori: appena comprato e messo nel vaso ci rallegra con i suoi colori, abbellisce e profuma la casa, ma dopo qualche giorno comincia ad appassire, i petali cadono uno ad uno e non resta più niente, solo marciume. Se ci pensate, oggi solo Meryl Streep lavora regolarmente a 75 anni, e gli altri attori? Chi se li ricorda più?
Ritrarre gli attori non è semplice, sono molto diffidenti e attaccati alla loro immagine pubblica. Quando la prima volta mi ha chiamato Monica Bellucci, che ho fotografato in molte occasioni, e ci siamo incontrati, mi ha squadrato e mi ha detto: “E tu saresti il fotografo? Ma le sai fare le fotografie?”
Prima di una sessione raramente ho la possibilità di incontrare e di parlare con i miei soggetti, anche per conoscerli un poco e organizzare meglio il mio lavoro. Loro arrivano ed io scatto, tutto finisce lì.
I miei inizi sono stati difficili, andavo avanti con lavoretti malpagati ed ero molto povero. Un giorno mi chiama il mio agente e mi dice: “Oggi hai tre appuntamenti, prendi un taxi e vai”. Era la prima volta che prendevo un taxi, prima non avevo i soldi per pagarlo. Allora ho capito che forse qualche cosa nella mia vita stava cambiando.
Ho cominciato a scattare foto a 10 anni e non ho mai smesso. Posso dire che è l’unica cosa che so fare. Quando da piccolo maneggiavo la mia macchinetta, impostando diaframma, fuoco, tempo di esposizione, mi sentivo importante, un uomo, e non avevo ancora idea che quello sarebbe diventato il mio futuro.
Da molti anni uso una Mamiya RZ Medium Format, una macchina analogica, pesante, ingombrante, che quando scatta fa clang come la porta di un vecchio frigorifero, e adopero un solo obiettivo. Monta negativi 5×7 che consentono stampe di grande formato. Uso rullini da 400 ISO, ogni pellicola è come se fosse diversa dall’altra e avesse una sua personalità Non scatto molto, e aspetto qualche giorno prima di sviluppare e stampare la pellicola e vedere quello che ho fatto.
Nel frattempo, non dormo la notte, penso di aver sbagliato tutte le immagini e di aver combinato un disastro, finché non ho in mano le prime stampe.
Molto lavoro è invece dedicato alla stampa e alla post produzione, dove, con i miei assistenti, ottengo alcuni degli effetti che appaiono nelle immagini.
Per me scattare in analogico è come inviare una lettera scritta a mano. Immaginate una coppia che litiga malamente. Se uno dei due scrive un email, l’altro la riceve, nel giro di un’ora ha risposto e tutto è finito. Tutto è veloce e immediato. Invece, se uno scrive una lettera a mano, ci vuole più tempo, si riflette, si cancella, poi si rilegge, si piega il foglio, si imbusta, si affranca e si spedisce. L’altro la riceve dopo qualche giorno, la legge, vede tutte le correzioni e risponde. Tutto questo richiede diversi giorni, proprio come una foto analogica tradizionale, in cui dal tempo dello scatto a quello della stampa trascorrono alcuni giorni. A me interessa questo lavoro più lento e meditato.
Ora, cari visitatori, passiamo alle fotografie, sperando che, spiegandone i segreti, non perdano di magia e mistero ai vostri occhi
Qui abbiamo un ritratto di Natal’ja Vodianova, super modella russa, sono stato a casa sua a Parigi a fotografarla. Suo marito è Antoine Arnault, uno degli uomini più ricchi del pianeta e vivono nel lusso più sfrenato. Quando da ragazza viveva in Russia con sua madre e le sorelle, vendeva la frutta al mercato e versava in condizioni di estrema povertà. Prima di scattare le ho chiesto di ricordare qualcosa della sua vita in Russia, lei ci ha pensato un po’ e questo è il risultato.
Mi avevano chiamato da New York a ritrarre Charlize Theron. Io dall’Europa ho cercato uno studio adatto e ne ho trovato uno favoloso, enorme, super attrezzato, ultra moderno, ero molto eccitato, mi sentivo come Steven Spielberg pronto a girare. Ma questo studio eccezionale aveva un difetto insormontabile, si trovava a Brooklyn, quartiere non proprio elegante. Comunque, arrivo a New York pronto a scattare con le migliori intenzioni, ma gli assistenti dell’attrice mi dicono che Charlize non sarebbe mai e poi mai andata a Brooklyn, ho provato ad insistere in tutti i modi, ma sono stati inflessibili, a Brooklyn proprio no! Ho dovuto accontentarmi di uno studio molto più piccolo vicino all’albergo dove alloggiava. Mentre stavo preparando il set, lei è uscita dalla sua stanza con questo lenzuolo drappeggiato sul corpo, se l’è sistemato da sola, non l’ha aiutata nessuno, e ho scattato.
Le ho scattato poi una serie di ritratti, me ne hanno acquistati solo due, ma io preferisco esporli tutti insieme, in sequenza.
Un giorno mi chiama Monica Bellucci e mi chiede se voglio fotografarla incinta e, dopo il parto, con la figlia Léonie neonata. Quando vede gli scatti, mi dice che le piacciono molto, ma non mi permette di diffonderli, perché sono “momenti molto privati”. Ho insistito per anni, mi ha sempre detto di no, solo lo scorso anno, in occasione della mostra a Palazzo Reale, sono riuscito a convincerla, puntando molto sul fatto che si trattava di un’esposizione in Italia.È trascorso tanto tempo, circa quindici anni, il suo matrimonio con Vincent Cassel è naufragato da tempo, sono successe tante cose nella sua vita e alla fine ha acconsentito.
Anni fa la rivista Esquire pubblicò un servizio sulle sette donne più sexy del mondo, a me è toccato fotografare Scarlett Johanssonn. In quel periodo era incinta e quando la mattina è arrivata in albergo per la sessione aveva le nausee e non si sentiva bene. Sul letto c’era uno specchio, io mi sono messo dietro di lei e ho scattato.
Fotografare Angelina Jolie è come ritrarre il presidente degli Stati Uniti, viaggia in limousine dai vetri oscurati ed è circondata da una ventina di guardie del corpo. Da ragazza ha avuto problemi con i suoi genitori e la storia della fine del suo matrimonio con Brad Pitt è su tutti i giornali, è comprensibile che per lei la privacy sia molto importante.
Mi hanno chiamato a Cannes nel 2006 e mi hanno dato solo due ore di tempo per ritrarla, assicurandomi che sarebbe arrivata vestita e truccata. Lei, all’epoca incinta, si è presentata con un vestito che sembrava una torta nuziale e un’acconciatura gonfia, enorme, terrificante. Non potevo fotografarla così! Ho avuto un’idea per nascondere vestito e capelli, l’ho ritratta in uno specchio; così ho fotografato il riflesso di Angelina.
Per questa foto sono finito in galera! [L’immagine mostra due modelle di spalle, nude, arrampicate ad una colonna simile a quella che pubblichiamo, n.d.r.] Ero a Venezia e stavo preparando gli scatti per queste mostre in Italia. Il problema era che le ragazze scivolavano dalla colonna e quindi non riuscivo a scattare velocemente. Era di mattina presto e vicino a noi passavano persone di ritorno dal mercato con le buste della spesa: quando hanno visto le modelle nude sulla colonna hanno sgranato gli occhi Mamma mia! Nel giro di tre minuti sono arrivati i Carabinieri, ci hanno caricati tutti quanti su una volante e ci hanno portato in centrale. Mi ci sono volute alcune ore per spiegare chi fossi e che cosa stessi facendo, alla fine ci hanno rilasciati.
Un giorno mi chiama Playboy e mi chiede una copertina. Non lavoro per questo genere di riviste, non mi interessa l’aspetto voyeuristico del nudo, ma per Playboy in passato hanno lavorato personaggi importanti, come Marilyn e Helmut Newton, tanto valeva provare.
L’idea di questa foto mi è venuta una notte a Londra, camminavo per una stradina deserta, non c’era nessuno, solo un divano che bruciava.Mi ha dato una sensazione di profonda solitudine e fragilità, che mi sono tenuto dentro per molto tempo. L’ho usata per una serie di scatti, anche recenti, che hanno come tema il fuoco.
Le fiamme le abbiamo ottenute incendiando delle canaline piene di liquido infiammabile; accanto c’erano i pompieri pronti con gli estintori e tutti noi della troupe ci eravamo protetti con una speciale crema ignifuga, anche le narici e le orecchie, perché il fuoco può arrivare dappertutto. Nessuno si è fatto male e la modella non si è bruciata. La foto è stata pubblicata, ma non mi hanno più chiamato!
Una volta a Parigi ho incontrato per caso Djaja Baecke, dopo i convenevoli di rito, abbiamo scoperto di essere entrambi liberi da impegni, così le ho proposto una sessione fotografica. Ho affittato un teatro appena fuori città per quattro ore, dalle 6 alle 10 di mattina, e abbiamo realizzato una serie di scatti. Si tratta di un progetto che mi sta particolarmente a cuore, perché viene da me e non me l’ha proposto nessuno.
Questa immagine mi è stata suggerita dai recenti orribili fatti di cronaca avvenuti in Iran, in cui le donne che hanno protestato togliendosi il velo sono state brutalmente bastonate e uccise. Il cane che aggredisce la modella rappresenta la violenza ottusa del potere.
Per preparare le foto, Victoria, la modella, aveva cucito da sola quatto vestiti di un tessuto che non si rovinasse troppo stappandosi. Nell’abito avevamo nascosto del cibo per il cane, che era sorvegliato dal suo addestratore, e mi sono preparato a scattare. Ma al momento dello scatto nel mirino della macchina non c’era nessuno, infatti il cane stava inseguendo la modella che scappava ed io ho dovuto inseguire tutti e due. Una mano della ragazza non si vede, perché è tenuta ferma da un mio assistente. In un certo senso sono fiero di questa foto, perché la modella ha la stessa espressione della Madonna di un quadro che si trova in una chiesa del centro storico, che vado sempre a visitare quando sono a Roma, uno dei miei preferiti. [L’immagine è molto recente, del 2024, e non si trova ancora nel profilo instagram di Vincent, ringrazio l’amica Antonella per avermi fornito il suo scatto amatoriale. N.d.r.]
Come modelli, gli uomini sono molto più difficili delle donne, vogliono sempre apparire prestanti e affascinanti. Inoltre, gli attori non sono quasi mai disposti a recitare davanti alla macchina fotografica, se glielo chiedi si infastidiscono e ti trattano male.
Jane Fonda è stata estremamente gentile con me. Ero andato a casa sua ed ero molto intimidito dalla sua persona. Le ho chiesto “Signora, che cosa vuole che faccia?” e lei di rimando “Dimmi TU che cosa vuoi che io faccia, sei TU il fotografo”.
John Malkovich è un caso a parte. Non gli interessa essere bello, non gli interessa essere sexy o prestante, ma si diverte a recitare davanti alla macchina fotografica. Mentre scattavo si è prodotto in una serie di facce, boccacce, gesti e movimenti inconsueti, si muoveva come una marionetta davanti all’obbiettivo, ma non appena finiva la pellicola si fermava di colpo. Quando la macchina era pronta e ricaricata, ricominciava. Ritrarlo è stata un’esperienza unica.”
La visita guidata termina qui, Vincent ha parlato ininterrottamente per circa due ore, che abbiamo provato a riassumere in queste righe, rispondendo con precisione e cortesia a tutte le domande dei visitatori. L’intervista promessa è a parte (il link è alla fine dell’articolo).
Ci auguriamo di aver invogliato i nostri Lettori a visitare la mostra, innescando in loro il desiderio di tuffarsi e di perdersi nei mondi rappresentati dalle bellissime immagini che ornano in questi giorni le pareti di Palazzo Bonaparte.
i nostri link:
VINCENT PETERS SI RACCONTA – seconda parte
TIMELESS TIME di VINCENT PETERS, Palazzo Bonaparte 16 maggio – 25 agosto
Vincent Peters visto da noi
Alcune immagini sono state fornite cortesemente da ARTHEMISIA (www.arthemisia.it ), altre, come indicato, sono tratte dal profilo instagram di Vincent Peters @vincentpeters1.
Ringrazio Priscilla M. per i suoi preziosi suggerimenti.